Il danno da perdita di chance del judoka

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E’ noto che la verificazione di un infortunio, laddove sia conseguenza di un fatto illecito, faccia sorgere in capo all’atleta un diritto al risarcimento del danno che ristori la menomazione psicofisica patita.

In pochi sono a conoscenza che il ristoro debba ricomprendere anche aspetti che non sono economicamente valutabili secondo parametri oggettivi e che dipendono dalla sofferenza soggettiva, dallo stravolgimento o dalla compromissione delle attività realizzatrici della persona, quali le relazioni familiari, amicali, sessuali, ricreative, etc.

I non addetti ai lavori non sanno invece dell’esistenza di un ulteriore profilo di danno che allarga il ventaglio dei danni che possono essere risarciti: il c.d. danno da perdita di chance.

Esso definisce la perdita della concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un risultato utile di natura economica e viene liquidato in particolare allorquando si riesca a provare, anche secondo un calcolo di probabilità o per presunzioni deducibile dai risultati sportivi precedenti e/o dagli obblighi contrattuali assunti dall’atleta stesso, che la verificazione di un fatto illecito (es. un incidente stradale, un infortunio dipendente da responsabilità civile di terzi), abbia fatto sfumare, tra le altre cose, le realistiche possibilità di ottenere un vantaggio patrimoniale futuro.

Si pensi all’atleta che subisce un danno alla persona e che si vede poi negata la possibilità di partecipare ad un evento sportivo e di conseguire un vantaggio economico. Si pensi, ancora, ad un accertamento medico che, per imperizia, certifichi la non idoneità fisica dell’atleta a svolgere l’attività agonistica sportiva.

Il rapporto tra il danno da perdita di chance ed il judo si declina a seconda del livello dell’atleta.

Il diritto al risarcimento di questa tipologia di danno non sussiste generalmente in capo all’amatore o allo sportivo dilettante, atteso che tali atleti, salvo rari casi, non traggono dalla attività sportiva alcun guadagno di natura economica. Costoro, infatti, in caso di infortunio imputabile a colpa di terzi, potranno accedere alla tutela risarcitoria allo stesso modo dei soggetti che non praticano attività sportiva, con l’aggiunta della possibilità di poter richiedere il risarcimento per il mancato godimento di servizi sportivi già pagati e non ripetibili (oggetto di restituzione), come ad esempio la partecipazione – non goduta – al corso in palestra.

Tutt’altro discorso invece è da farsi per l’atleta professionista (forze armate) e l’atleta dilettante di “alto rango”.

In tali casi, un infortunio subito durante la carriera sportiva può essere fonte di un grave pregiudizio patrimoniale che a volte supera drasticamente l’entità di quanto viene liquidato dalle compagnie assicuratrici come semplice controvalore delle lesioni.

Una lesione psicofisica di lieve entità puo’, infatti, in alcune circostanze, porre addirittura fine ad una carriera agonistica o quantomeno sospenderla per un certo lasso di tempo, con rilevanti riflessi negativi sui guadagni che provengono dagli “ingaggi” stipulati con i sodalizi sportivi, dai contratti pubblicitari o di sponsorizzazione.

Ecco che, quando si verifica un infortunio, entra in “gioco” la figura del medico legale che ha le competenze necessarie per valutare se il judoka e’ in grado o meno – e in che modo – di continuare a svolgere l’attività sportiva.

Accanto a questa valutazione se ne aggiunge una di carattere estimativo, tesa a valutare e a  quantificare l’entità della riduzione della capacità di produrre reddito. Tale stima si basa preliminarmente sul reddito che l’atleta percepisce eventualmente dalle entrate provenienti dalla società sportiva e dell’ulteriore profitto derivante dai contratti pubblicitari e di sponsorizzazione.

Nel computo del danno risarcibile bisogna poi prendere in considerazione alcune variabili. In primis, va analizzata la durata presumibile della vita sportiva (agonistica), che nel judo può essere contenuta dai 14 ai 30 anni e che richiede sempre condizioni fisiche ottimali.

Secondariamente, va considerata la prospettiva di carriera, essendo evidente il fatto che il danno subito da un’ atleta all’inizio della sua carriera non può essere paragonato a colui che oramai sta concludendo la sua attività.

Laddove la “carriera” venga interrotta, si tratta di prendere nella dovuta considerazione l’incidenza della lesione sulla capacità di produrre reddito, anche al di fuori del mondo dello sport.

Quanto detto vale per lo sportivo che già sta svolgendo professionalmente l’attività sportiva.

Altra situazione è quella degli atleti dilettanti che a causa del sinistro, sportivo o extrasportivo, vedono sfumare la possibilità di passare alla pratica sportiva a livello professionale (si pensi al caso di un atleta in “odore” di gruppo sportivo militare).

In questo caso, ci troviamo dinanzi ad un radicale mutamento della prospettiva lavorativa del danneggiato.  La prova che l’atleta fornira’ in tribunale in ordine al pregiudizio subito a livello di prospettiva lavorativa sportiva inciderà non solo sulla quantificazione del danno ma anche sulla sussistenza del diritto ad essere risarcito per il danno patrimoniale connesso all’esercizio di un’attività sportiva.

Nel momento in cui la prova, a livello probabilistico, è raggiunta in toto, per il calcolo del danno patrimoniale futuro si procederà a considerare il complessivo impatto economico, composto da tutte le voci di danno che l’atleta abbia subito a seguito dell’incidente. Laddove, invece, la prova non viene soddisfatta, al massimo gli può essere riconosciuto in via equitativa, un valore aggiunto nel calcolo del danno patrimoniale futuro, sulla base del reddito percepito dall’attività lavorativa della vittima o del reddito figurato, in caso di minore.

Avv. Francesco Lambertucci - Diritto Sportivo

scritto il 11 mag 2017
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